Le analisi per immagini
Analisi per immagini sui terreni agrari
Una delle peculiarità dell’agricoltura biodinamica è quella di mantenere un costante controllo della qualità dei prodotti attraverso regolari verifiche della qualità del terreno lavorato. È per questo motivo che, all’inizio dell’intervento si è ritenuto utile accertare lo stato del terreno dei campi coltivati nei cinque istituti penitenziari abbiamo tramite accurate analisi di laboratorio. La scelta è stata quella di non affidarsi ad un laboratorio che si limitasse a determinare il contenuto quantitativo delle sostanze nel terreno. Considerando ogni sostanza organica come il risultato dell’attività di organizzazione integrata tra organismi viventi, abbiamo preferito affidarci ad un sistema d’analisi che tenesse conto anche della qualità del terreno, ovvero della capacità degli organismi viventi di cambiare forme e strutture durante il proprio ciclo vitale. Il metodo utilizzato per le nostre ricerche è quello dall’analisi morfologica (picture-forming method), che tiene conto simultaneamente delle nozioni di sostanza e di attività organizzativa, affiancata ad un’analisi chimica delle sostanze.
L’idea di questi nuovi metodi di analisi nasce per impulso dello stesso Rudolf Steiner, che elabora questi nuovi procedimenti dopo un attento studio delle attività di ricerca dello scienziato e poeta tedesco Wolfgang Goethe. Gli studi scientifici di Goethe sul divenire delle forme della natura avevano, già alla fine del Settecento, prodotto interessanti scoperte in campo biologico. È seguendo questi metodi di osservazione che Rudolf Steiner ha successivamente pensato di mettere in relazione le forme create dalle sostanze inorganiche (cristalli) con le forme determinate da qualunque tipo di sostanza organica (piante, frutti, suolo, compost, latte, sangue, ecc.) per verificare la vitalità di quest’ultima. In seguito, ha affermato che se mescoliamo una sostanza organica ad una soluzione salina inorganica, quest’ultima sarà influenzata dalla prima. In questo modo otterremo delle indicazioni sulle forze formatrici della sostanza organica in questione.
Sotto questo impulso la ricercatrice Lily Kolisko effettua, negli anni Venti, le prime analisi di laboratorio sulle forme di cristallizzazione, con le quali era possibile riscontrare la veridicità del metodo suggerito da Steiner. Subito dopo, il Dr. Ehrenfried Pfeiffer cominciò parallelamente altre ricerche, giungendo a pubblicare i primi lavori, nel 1930 (Cristalli) e nel 1931 (Studio su Cristallizzazione e forze formatrici), con i quali sottolineava la fecondità di questo nuovo metodo d’analisi descrivendone il procedimento. A questi fecero presto seguito i lavori di altri ricercatori, quali quelli di O. C.Gruner e di W. Krebs che confermarono la validità del metodo e quelli di A. Selawry, di F. Bessenich e di H. Krüger intesi a proseguire in modo fecondo la ricerca, per approdare a nuovi risultati scientifici.
I metodi morfologici per l’analisi elaborati in questi anni, ed oggi comunemente usati, sono di tre tipi: la cristallizzazione sensibile con cloruro di rame secondo il metodo del Dr. Pfeiffer, la dinamolisi secondo il metodo dei laboratori Wala, con filtro rotondo. Il primo tra questi, il sistema della cristallizzazione sensibile, prevede l’utilizzo del cloruro di rame come reagente da mescolarsi ad acqua ed alla sostanza biologica che si vuole analizzare. Si distribuisce, poi, una quantità specifica del composto così ottenuto su una lastra di vetro. Si pone, poi, il tutto in una camera di cristallizzazione perché non subisca vibrazioni, ne variazioni di temperatura o di umidità. Dopo alcune ore il composto si asciuga lasciando un immagine creata dai cristalli essiccati, la forma risultante sarà dipendente dalle proprietà qualitative dell’estratto organico aggiunto Il metodo della dinamolisi capillare riprende i primi esperimenti della Kolisko. Si esegue servendosi di una carta cromatografica assorbente, la si arrotola a cilindro e la si pone in verticale sopra un contenitore a piattino. A questo punto viene fatto salire lungo la carta, per assorbimento, l’estratto della soluzione biologica e lo si lascia asciugare per un paio d’ore. Successivamente, si fa assorbire sulla stessa carta una soluzione di nitrato d’argento fino a un centimetro più in alto della posizione raggiunta dalla sostanza già essiccata. Dopo qualche ora di asciugatura si procede all’assorbimento di una soluzione di solfato di ferro che raggiungerà circa 12 centimetri d’altezza. Quest’ultima essiccazione mostrerà un’immagine, ottenuta dalle linee di risalita dei due tipi di cristalli, influenzate dalla sostanza organica campione. Infine, per i cromatogrammi con filtro rotondo si utilizza una carta cromatografica rotonda e posta in orizzontale, imbevuta di nitrato d’argento per un diametro di otto centimetri. La soluzione chimica viene fatta assorbire partendo dal centro per andare verso la periferia. Raggiunta l’essiccazione completa dei sali d’argento (dalle due alle tre ore), si procede all’assorbimento della sostanza organica da analizzare, per un diametro di dodici centimetri. Anche in questo caso si delineerà un’immagine dei cristalli essiccati, direttamente dipendente dalla sostanza organica. Per ogni immagine che si compone sulla carta, il laboratorio fornisce una lettura della forma creatasi. Nel caso di analisi dei terreni, questa forma ci indica il contenuto di sostanza organica, quello di sostanza inorganica, la quantità di aerazione del terreno…. In ogni caso il metodo garantisce una riproducibilità molto alta e le valutazioni risultano essere molto attendibili.
Strumenti sofisticati sono oggi in grado di analizzare con una precisione notevole le sostanze che compongono la materia inorganica e quella organica. È possibile sapere quali sostanze sono presenti in un campione di materia ed anche la loro quantità. Nel mondo inorganico possiamo dire che non vi sono ostacoli particolari alla determinazione della quantità e della specie di sostanze presenti in un campione. Nell’analisi della sostanza organica vivente le cose si fanno più complesse ma certamente anche qui non vi sono ostacoli insormontabili tali che ci impediscano di determinare quali e quante sostanze sono presenti in una pianta, in un campione di suolo o in in un corpo animale. Il punto di vista biodinamico pone un problema di tipo qualitativo: una sostanza chimicamente identica che sia generata in un corpo animale è, nella sua natura, identica alla stessa sostanza, per esempio, prodotta in una pianta oppure in un batterio? Se noi analizziamo chimicamente la sostanza non rileviamo differenze. Come conoscere la qualità di una sostanza o di un insieme di sostanze? I processi viventi che afferrano una sostanza (come anche i processi fisici inorganici) lasciano una traccia nella sostanza stessa? Ne influenza non la natura? Una prima risposta ha iniziato a essere posta sin dagli anni ’30 ed ha seguito una evoluzione che fino ad oggi ha elaborato tre metodi fondamentali: Cristallizzazione sensibile, Dinamolisi Capillare e Cromatografia. Quest’ultima ha costituito il metodo da noi utilizzato per analizzare i processi del terreno degli istituti carcerari oggetto della nostra iniziativa.