Come l’orchestra del Titanic. Carlo Triarico sull’Osservatore Romano 15 marzo 2019

L’illusione che il disastro climatico riguardi solo i poveri

di Carlo Triarico

Il messaggio lanciato dalla Laudato si’ vive ora sulle gambe e nelle idee dei giovani che in tutto il mondo erigono la responsabilità per la casa comune quale fulcro per una nuova leadership, ragionevole e pacifica, identitaria di una generazione. La giornata per il clima di venerdì 15 marzo è il segnale, che le giovani generazioni hanno saputo cogliere e far vivere le ragioni dello sviluppo umano integrale. Sanno fare di più: fondano una comunità trasversale alle nazioni e agli interessi particolari, un popolo d’elezione in dialogo con le coscienze. La manifestazione arriva a quattro mesi dal 15 dicembre 2018, quando si conclusero i lavori di Cop24, la conferenza sul clima di Katowice, in Polonia, senza un impegno chiaro sul clima, che fosse conseguente agli scenari illustrati dagli uomini di scienza. Le nuove generazioni tengono così aperto il dialogo a sostegno dei progressi del multilateralismo. Sono ancora pochi gli impegni strappati dalle estenuanti trattative delle conferenze sul clima. È stato varato il Rulebook, il regolamento che assegna agli stati gli indirizzi per applicare l’Accordo di Parigi del dicembre 2015, ma i termini di attuazione di un accordo nato già debole sono ancora inadeguati. Le organizzazioni ambientaliste hanno stigmatizzato i limiti delle trattative. Greenpeace ha denunciato: «Non è stato raggiunto alcun impegno collettivo chiaro per migliorare gli obiettivi di azione sul clima». Poco chiari sono emersi i cosiddetti Nationally Determined Contributions (Ndc), che dovrebbero assegnare a ogni stato impegni ben definiti e solidali sul contributo spettante per mitigare i cambiamenti climatici. I paesi del sottosviluppo sono i meno inquinanti, ma i più danneggiati. Così il dibattito sulla cura della casa comune, che i giovani del venerdì sostengono, è sempre più una questione di riconoscimento dei diritti umani e di sviluppo umano.
Mentre la ricerca sulla salute del pianeta ci avverte di una nave che affonda, i passeggeri più ricchi disputano sui privilegi della prima classe, illudendosi che gli annegamenti già iniziati in terza non li riguardino. I tempi del disastro per l’intero pianeta sono invece molto stretti. Il dato emerso da Cop24 è di un aumento aumento progressivo del riscaldamento globale di 0,20 gradi a decennio, portando a meno di 25 anni la scadenza per il raggiungimento di 1,5 gradi di aumento globale dai tempi preindustriali, ritenuto il limite massimo tollerabile, oltre il quale avremo l’inabitabilità, o la scomparsa di intere nazioni. Purtroppo l’accordo di Parigi sul clima a fissato a 2 gradi è il termine limite: un obbiettivo già insufficiente, cui sono stati applicati strumenti deboli per il suo conseguimento, col rischio di non giungere a una sostanziale riduzione delle emissioni. Su questo insistono i giovani, cui rischiamo di rubare il futuro. Il panel internazionale di esperti ha indicato in 12 anni il tempo per intervenire, ma proprio il rifiuto in sede politica di un dato accertato in sede scientifica è stato al centro delle dispute di Cop24. Il Rapporto pubblicato l’8 ottobre «Riscaldamento globale di 1,5°c», è un dettagliato manifesto scientifico di 729 pagine redatto dal Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), l’autorevole panel di scienziati esperti del clima incaricato dall’Onu. Il rapporto stabilisce l’urgenza di fissare a zero il bilancio delle emissioni di gas serra entro il 2030 come condizione per restare entro 1,5 gradi di aumento. Spiega che fermarsi a 1,5 gradi in cento anni, rispetto ai 2 gradi, è necessario per raggiungere almeno parte degli Obbiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu e quindi per ridurre la povertà e permettere la sopravvivenza di milioni di esseri umani.
Se dunque il limite di 1,5 gradi corrisponde al diritto alla vita, questo diviene il limite moralmente invalicabile. Dicono gli esperti che ridurrebbe il progressivo innalzamento dei mari di 10 cm e ciò metterebbe al riparo per cento anni 10 milioni di esseri umani da rischi di instabilità idrica. Porterebbe a perdere “solo” tra il 70 e il 90 per cento della barriera corallina, che con 2 gradi è destinata a scomparire del tutto insieme alla popolazione che la abita. Preserverebbe da ondate di clima torrido 420 milioni di esseri umani. Fosse accolto pienamente, il rapporto aprirebbe la strada per il blocco di nuove trivellazioni e per la riduzione drastica dell’uso di carbone, petrolio, metano in quantità tale che il bilancio tra emissioni e sequestro di gas serra sia pari a zero emissioni nette: una soluzione necessaria da conseguire almeno per il 2050, ma avversata da alcuni.
Arabia Saudita, Kuwait, Federazione Russa e Stati Uniti hanno rifiutato di accogliere il rapporto, come invece proposto da 19 paesi insulari del gruppo Oasi e sostenuto dall’Ilac (l’Alleanza dell’America Latina e dei Caraibi), dai 47 paesi più poveri al mondo (Least Developed Countries) e via via da tanti altri paesi, Unione Europea compresa. Pur rappresentando il 7 per cento della popolazione mondiale e restando sempre più isolati nel panorama internazionale, i paesi contrari sono riusciti a ridimensionare l’impegno ad accogliere pienamente il rapporto, passato poi come annotazione.
Già durante la giornata per il clima di Cop23 a Bonn, il ministro dell’agricoltura tedesco Christian Schmidt aveva rimarcato il ruolo centrale che l’agricoltura potrebbe giocare per un buon bilancio delle emissioni, ruolo che diviene decisivo davanti ai limiti del regolamento scaturito da Cop24. I suoli agricoli potrebbero assorbire e trattenere in modo naturale una grande quantità di carbonio, favorire i cicli virtuosi delle sostanze, prevenire la desertificazione e regolare il clima anche in sede locale. Per questo la Commissione europea sta elaborando le applicazioni del «Quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima», con riguardo ai suoli agricoli e forestali e in Italia oltre il 40 per cento dei fondi destinati alle politiche di sviluppo 2014 – 2020 (21 miliardi tra fondi Ue e cofinanziamento nazionale) hanno riguardato, con diversi effetti, le due focus area del Feasr sui cambiamenti climatico ambientali. Anche la banca mondiale ha deciso di sostenere con importanti stanziamenti forme di agricoltura intelligente rispetto ai cambiamenti climatici. Non ha però individuato con rigore i modelli agricoli, col rischio di sostenere ancora forme di agricoltura basate sull’energia fossile. In modo più mirato si è mossa la Fao, l’organismo dell’Onu per la nutrizione, che sostiene precisi progetti locali e già nel 2015 ha prodotto il documento «I suoli permettono di contrastare i cambiamenti climatici», individuando nell’agroeologia, nell’agricoltura biologica, nell’agricoltura di conservazione e nell’agroselvicoltura le formule migliori per contrastare il riscaldamento globale e resistere agli effetti dei cambiamenti climatici. Adesso, come affermò anche la delegazione della Santa Sede a Katowice, occorre ascoltare chi vivrà nel 2050 e riprendere la strada dello sviluppo integrale.

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